Cambia il modello di intervento nelle malattie rare: dall’isola al ‘cerchio’ inclusivo del Patient and Family Centered Care
La telemedicina mette in contatto medici e pazienti grazie alla formazione in ‘medicina digitale’, il corso di formazione a Chieti
Nelle malattie rare e croniche, i bisogni e le necessità dei pazienti si scontrano con le problematiche organizzative delle strutture assistenziali. Farmacisti, clinici, infermieri, e personale d’assistenza sono lo snodo che può facilitare o ostacolare la già complessiva vita di chi se ne scopre malato.
Molti problemi nascono dalla scarsa comunicazione tra i diversi attori che si ritrovano a far parte di un modello di intervento definito “isola”: chi opera nei servizi procede all’interno della propria “isola” e il paziente deve saltare dall’una all’altra in un percorso inefficace, costoso e poco produttivo.
In un report del Rare Disease UK pazienti e famiglie sì impegnano in prima persona nella ricerca di informazioni sulla propria patologia in una alleanza con i medici con i quali si scambiano informazioni. Le persone con condizioni croniche spendono l’1% del loro tempo in contatto con i curanti, ma circa il 70% ritiene di non avere abbastanza informazioni sulla malattia dopo la diagnosi e il 35% indica che non comprende completamente le informazioni che sono loro date. Inoltre, il 45% ha cercato e trovato in autonomia informazioni utili alla gestione della malattia. Mentre il 65% dei malati rari ha una buona conoscenza della malattia, alcuni diventano veri e propri ‘esperti’.
IMR (leader in Italia nell’applicazione del modello PFCC e del Counseling Situazionale) ha organizzato un corso di formazione dal titolo ‘Vincere insieme, applicando la strategia REmoTE’ presso il reparto di Ematologia dell’Ospedale SS. Annunziata di Chieti, grazie al contributo non condizionante di CSL Behring.
I lavori abbandonano il tradizionale approccio frontale per coinvolgere i medici in role play e lavori di gruppo che culminano in un confronto in plenaria.
Come spiega il Professor Raffaele Arigliani, Pediatra e già Professore a Contratto di Counseling presso l’Università Federico II di Napoli che ha coordinato i lavori dell’incontro che si è svolto a Chieti: “comunicare è riuscire a trasferire informazioni da chi sa a chi non sa e questo è particolarmente difficile. Le emozioni di fatto riducono enormemente la capacità di recepire di quella parte del cervello deputata alle funzioni cognitive. Chi ha una difficoltà riesce difficilmente a seguire un ragionamento complesso se le emozioni sono prevalenti: comunicare da chi sa a chi non sa non può basarsi unicamente sulla capacità di dare un’informazione tecnicamente rapida ma presuppone il riuscire a creare un legame emotivo tra colui che parla e colui che riceve, un legame di fiducia, uno spazio di ascolto. In questo ambito arrivano delle informazioni che siano trasmesse con linguaggio comprensibile per l’interlocutore che vuol dire termini adeguati, frasi semplici, brevi, centrate sul problema”.
Le attuali criticità nella compliance terapeutica e nello shift tra farmaci hanno un netto miglioramento lì dove i diversi attori sono capaci di attivare dialoghi secondo un modello d’intervento “a cerchio” chiamato Patient and Family Centred Care (PFCC) dove il paziente al centro diventa fruitore attivo e propositivo. Il risultato è un servizio personalizzato, realizzato in tempo inferiore, con minor dispendio e maggiore soddisfazione per tutti.
Ciò sarà fattibile anche con l’ausilio delle nuove opportunità offerte dalla comunicazione digitale e dalla telemedicina, come ci insegna il progetto REmoTe (implementazione della Telemedicina nei centri per il trattamento delle Malattie Rare e dell’Emofilia).
È necessario apprendere un nuovo modo di comunicare attraverso i dispositivi in remoto?
“Gli operatori sanitari si trovano a dover affrontare numerose sfide. Nell’ambito degli strumenti che abbiamo a disposizione contano le competenze ma serve un bagaglio di capacità di comunicazione ed empatia tra di noi e con i pazienti” ha sottolineato il dottor Fiorenzo Santoleri, Segretario Regionale della SIFO: “E’ il tassello fondamentale, il ponte per raggiungere efficacemente le persone. Oggi abbiamo a disposizione diversi strumenti che possono aiutarci a superare ostacoli fisici e strutturali. Penso alla telemedicina e ad app che non devono servire solo a ricordare al paziente un controllo o l’assunzione della terapia ma possono migliorare il dialogo con le strutture sanitarie. Dietro allo strumento tecnologico è necessario che ci sia un operatore sanitario, ma è innegabile che le opportunità tecnologiche miglioreranno il viaggio del paziente nella malattia e il suo percorso di cura”.
“Il rapporto medico-paziente è caratterizzato da reciprocità in quella che è una vera e propria relazione” ha aggiunto Angelo Lupi – Presidente dell’Associazione Amare e Segretario Nazionale Fedemo “La persona ha bisogno di sentirsi ‘preso in carico’, ha bisogno che la sua condizione sia presa in considerazione, abbia una dignità. La Telemedicina può risolvere efficacemente due ordini di problemi: i limiti geografici e territoriali e diminuire i tempi di attesa delle prestazioni. Ovviamente la Rete deve in qualche modo essere adattata ai bisogni di soggetti con condizioni rare”.
Ma la cura non è solo terapia, come racconta la Dr.ssa Patrizia Di Gregorio, Direttore del Servizio immunotrasfusionale dell’Ospedale SS. Annunziata di Chieti: “stiamo lavorando molto con i pazienti rari, in particolare emofilici, anche in ottica di supporto sociale. Abbiamo infatti organizzato fisiocamp nei boschi, attività in piscina sino al brevetto di Nordic Walking, tutte attività che non solo fanno bene alla loro salute ma contribuiscono all’equilibrio psicologico e alla qualità di vita”.
Il modello Patient and Family Centered Care (PFCC) ha dimostrato di essere in grado di ridurre le conflittualità e le disparità di trattamenti, accrescere la compliance terapeutica e ridurre i costi. Si tratta di un approccio che sì basa sull’utilizzo dell’esperienza diretta dei pazienti e le loro famiglie per ritagliare sui loro bisogni l’assistenza. Prevede un ascolto e la condivisione delle decisioni tenendo conto di valori, credenze e background culturale. Ha come fulcro quattro aspetti: rispetto, condivisione delle informazioni, partecipazione e collaborazione.