Umanizzazione delle cure: la nuova sfida per un sistema sanitario inclusivo e di prossimità
Perché l’approccio olistico e la medicina territoriale sono fondamentali per garantire il diritto alla salute a cittadini fragili e invisibili
L’umanizzazione delle cure rappresenta il processo di trasformazione del sistema sanitario volto a porre la persona al centro del percorso terapeutico, integrando l’eccellenza tecnologica con la dimensione relazionale. Questo modello è essenziale per abbattere le barriere sociali ed economiche che isolano i soggetti più vulnerabili. Attraverso una rete di prossimità e l’ascolto attivo, la sanità diventa capace di intercettare le fragilità prima che degenerino in emergenze cliniche, garantendo equità di accesso e dignità a ogni cittadino, indipendentemente dalla sua condizione sociale o economica.
Il recente convegno Dignitas Curae, svoltosi presso l’Università Guglielmo Marconi di Roma, ha ribadito che l’eccellenza tecnologica non è sufficiente se non raggiunge le periferie dell’esistenza. L’obiettivo dichiarato è trasformare il sistema sanitario in una rete capace di riportare la prevenzione direttamente nelle strade.
Monsignor Mauro Cozzoli sottolinea come la cura debba coinvolgere la dimensione fisica, emotiva e spirituale. Secondo l’esperto, il tempo della relazione è tempo di cura, un elemento spesso sacrificato a causa della burocratizzazione dei processi biotecnologici moderni.
Anche le istituzioni si stanno muovendo in questa direzione. Maria Rosaria Campitiello, del Ministero della Salute, ha annunciato il lavoro su un decreto attuativo per l’umanizzazione delle cure. L’attenzione è rivolta ai pazienti più svantaggiati, utilizzando la tecnologia come ponte per superare le difficoltà di accesso.
Massimo Massetti, presidente della Fondazione Dignitas Cure, evidenzia un dato allarmante: la povertà limita l’accesso a una sana alimentazione e all’attività fisica. La difficoltà economica aumenta direttamente il tasso di malattie cardiovascolari nelle fasce di popolazione meno agiate, dove frutta e verdura sono spesso sostituiti da grassi e carboidrati a basso costo.
Sul fronte delle malattie infettive, l’esperienza di Massimo Andreoni dimostra l’efficacia degli screening territoriali. Intervenire in contesti di disagio ha permesso di individuare casi di tubercolosi, epatite e HIV che altrimenti non sarebbero mai stati diagnosticati, evitando ospedalizzazioni tardive e complessi decorsi clinici.
Un altro fattore critico è la solitudine dell’anziano, definita da Evaristo Ettorre come un fattore di rischio clinico paragonabile alle patologie croniche. L’isolamento sociale espone i soggetti a rischi cardiovascolari maggiori e al disinteresse verso le campagne vaccinali e i controlli di routine.
Raffaella Bucciardini (ISS) e Giovanni Battista Desideri (Sapienza) concordano sulla necessità di una presa in carico multidimensionale. L’integrazione tra pubblico e privato è ritenuta fondamentale per ridurre le liste d’attesa e ridisegnare un sistema nazionale capace di fare prevenzione reale sul territorio.
Laila Perciballi, Garante dei diritti delle persone anziane, pone l’accento sul divario digitale, che impedisce a molti cittadini di prenotare visite o scaricare referti. Rimuovere questi ostacoli è un obbligo costituzionale per garantire che l’uguaglianza di accesso alle cure sia effettiva e non solo teorica.
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In conclusione, il passaggio dalla singola prestazione tecnica a un percorso di cura globale, che includa anche il supporto spirituale e le cure palliative nelle RSA, è l’unica via per ridare dignità alla vita, specialmente nei momenti di massima vulnerabilità.
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