Un paziente su 5 tra i guariti da COVID-19 si positivizza di nuovo dopo qualche settimana, ma meno dell’1% ha una vera reinfezione
Su “JAMA Internal Medicine” lo studio condotto da ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica, campus di Roma
Alcuni pazienti guariti da COVID-19, con tanto di tampone molecolare negativo, a distanza variabile di tempo, possono risultare nuovamente positivi al tampone, pur in assenza di qualunque sintomo suggestivo di reinfezione. L’osservazione, frutto della collaborazione tra medici, ricercatori e docenti della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica, campus di Roma, Maurizio Sanguinetti e Paola Cattani (Dipartimento di Scienze di Laboratorio e Infettivologiche), Brunella Posteraro (Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche) e Francesco Landi (Dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento, Neurologiche, Ortopediche e della Testa-Collo) è pubblicata come research letter su JAMA Internal Medicine (https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/10.1001/jamainternmed.2020.7570?utm_campaign=articlePDF%26utm_medium=articlePDFlink%26utm_source=articlePDF%26utm_content=jamainternmed.2020.7570) di questa settimana.
“Al momento non è dato sapere se questi pazienti siano contagiosi e vadano dunque di nuovo quarantenati, perché il test molecolare non è l’equivalente di una coltura virale e, dunque, non consente di appurare se nel campione prelevato dal naso-faringe dei pazienti sia presente virus vitale e, di conseguenza trasmissibile”, spiega il professor Maurizio Sanguinetti, Ordinario di Microbiologia all’Università Cattolica e Direttore del Dipartimento di Scienze di Laboratorio e Infettivologiche del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS. La rilevazione del cosiddetto RNA replicativo virale viene proposto dagli autori come un indicatore della presenza di virus vitale e potenzialmente trasmissibile, ma saranno necessari ulteriori studi per stabilire se tali pazienti possano effettivamente trasmettere il virus.
Lo studio è stato effettuato su 176 pazienti guariti dal COVID-19 e seguiti da aprile a giugno presso il Day Hospital post-COVID della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, coordinato dal professor Francesco Landi. La guarigione era stata precedentemente valutata sulla base dei seguenti criteri: assenza di febbre per 3 giorni consecutivi, miglioramento degli altri sintomi, 2 tamponi molecolari per SARS CoV-2 RNA negativi a distanza di 24 ore uno dall’altro. Nel corso del follow up (effettuato a distanza di circa 50 giorni dalla diagnosi di COVID-19), i campioni naso-faringei di questi pazienti sono stati analizzati per la presenza sia dell’RNA virale totale (genomico) sia dell’RNA virale replicativo (subgenomico). “La presenza di RNA replicativo nei campioni – prosegue il professor Sanguinetti – è stata utilizzata come indicatore di replicazione virale in atto. Nei pazienti risultati positivi per RNA totale, sono stati di nuovo analizzati i campioni ottenuti al tempo della diagnosi di COVID-19 (che erano stati conservati a -112 F°), andando a ricercare la presenza di RNA replicativo. Tutti i pazienti sono stati inoltre sottoposti a test sierologico per le IgG/IgA specifiche del virus. Tra i 176 pazienti guariti, 32 (quasi 1 su 5) sono risultati positivi per l’RNA totale di SARS CoV-2, seppure a livello variabile. Solo uno di questi, tuttavia, è risultato positivo anche per l’RNA replicativo di SARS CoV-2. Sono stati rianalizzati i campioni ottenuti dai pazienti al momento della malattia e, come previsto, sono risultati tutti positivi per l’RNA replicativo di SARS CoV-2”.
Tutti i pazienti risultati nuovamente positivi (con un’unica eccezione) e tutti gli altri pazienti negativi al tampone di controllo presentavano un test sierologico positivo al follow-up. L’unico paziente risultato positivo sia per RNA totale che replicativo è diventato positivo a distanza di 16 giorni dalla guarigione (e dopo 39 giorni dalla diagnosi iniziale di COVID-19); si tratta di un soggetto anziano con ipertensione, diabete e malattia cardiovascolare, che presentava al follow up una sintomatologia compatibile con COVID-19.
“Tutti questi dati fanno sospettare che si tratti per questo paziente di una reinfezione o recidiva di infezione – commenta il professor Sanguinetti -, mentre per i restanti 31 pazienti (tutti asintomatici) risultati positivi solo per RNA totale, è più probabile che si tratti di una eliminazione di frammenti di RNA virale, a seguito di risoluzione dell’infezione”.
“Questo studio conferma l’utilità di eseguire un accurato follow up dei pazienti guariti da COVID-19 e rafforza il concetto che le reinfezioni nei pazienti guariti da COVID-19 sono rare – conclude Sanguinetti -, sebbene in presenza di positività al test molecolare ‘convenzionale’ (che rileva l’RNA totale di SARS CoV-2). Pertanto, la ricerca dell’RNA replicativo di SARS CoV-2 potrebbe aiutare a risolvere il dilemma circa la reale infettività dei pazienti guariti da COVID-19 che ritornano a essere positivi per l’RNA di SARS CoV-2”.