Dolore cronico: perché in Italia resta ancora un’emergenza sanitaria invisibile

Dolore cronico

La legge 38 tutela il diritto alla terapia del dolore, ma la sua applicazione resta disomogenea e molti pazienti non sanno di poter accedere a cure specialistiche

In Italia convivono quotidianamente con il dolore cronico oltre 10 milioni di persone. Si tratta di una condizione complessa, spesso definita “dolore invisibile”, perché non sempre manifesta segni esterni ma compromette profondamente autonomia, relazioni e qualità di vita. La terapia del dolore, garantita dalla legge 38 del 2010, rappresenta un diritto riconosciuto, ma la sua applicazione rimane frammentata e poco omogenea sul territorio. Molti cittadini non sanno dove rivolgersi né che esistano percorsi specialistici dedicati.

Secondo l’onorevole Gian Antonio Girelli, questa mancanza di uniformità impedisce a milioni di italiani di ricevere un adeguato supporto: «Non possiamo lasciare queste persone nella solitudine a vivere tra mille difficoltà». La legge 38, pur avanzata per visione e obiettivi, non ha generato una rete efficiente e realmente accessibile. Le disparità territoriali, sottolinea Girelli, continuano a pesare in modo evidente sul percorso dei pazienti.

Il professor Marco Mercieri, direttore dell’Unità di Terapia del Dolore dell’Ospedale Sant’Andrea, mette in luce una delle criticità principali: la rete prevista dalla normativa non ha mai funzionato come previsto. «La rete non ha funzionato e questo ha portato inevitabilmente al fatto che il dolore oggi è poco trattato e non in modo omogeneo». Un ulteriore problema è la scarsa consapevolezza dei cittadini: molti non sanno che il dolore cronico può essere trattato e che esiste uno specialista dedicato. Malattie diffuse come lombalgia, trigeminalgia, cefalee o neuropatie diabetiche condividono come sintomo centrale proprio il dolore, ma la maggioranza delle persone continua a considerarlo un destino inevitabile.

Dal mondo associativo arriva un appello forte. Cristina Randoli, vicepresidente di Alleanza Cefalalgici, ricorda che chi soffre di dolore cronico spesso vive «nel silenzio, costretto nell’ombra». Rendere visibile questa sofferenza è il primo passo per ottenere diritti e percorsi adeguati. Un messaggio ribadito anche da Pierpaolo Spena, presidente FAIS, che invita a superare il paradigma secondo cui “se sei malato, devi soffrire”: la terapia del dolore non è un optional, ma parte integrante della cura e della dignità della persona.

Il lavoro congiunto delle 11 associazioni riunite attorno al documento programmatico “Dolore, no grazie” è seguito da Health Engine, con il coordinamento di Luca Savarese e la guida di Teresa Petrangolini. L’obiettivo è unire le diverse realtà per costruire un dialogo stabile con istituzioni, clinici e società civile, portando il dolore cronico al centro dell’agenda sanitaria nazionale. «Mettersi insieme significa costruire percorsi, dialogare con il Parlamento, informare i cittadini e restituire dignità a chi soffre», afferma Petrangolini.

Il dolore cronico, spesso sottovalutato perché non visibile, rappresenta un problema di salute pubblica che richiede continuità, informazione e una rete realmente funzionante. Riconoscerlo significa permettere alle persone di ritrovare non solo una migliore qualità di vita, ma anche un pieno senso di appartenenza sociale.

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Un approccio integrato alla terapia del dolore non riguarda solo farmaci o tecniche cliniche, ma la capacità di restituire ascolto, accoglienza e percorsi chiari. Investire su questo fronte significa investire nel benessere dell’intera comunità.

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