Amiloidosi cardiaca: verso un modello nazionale di diagnosi precoce e presa in carico equa
Una malattia rara sempre più riconosciuta: perché servono percorsi uniformi, strumenti digitali e una rete clinica integrata per migliorare la diagnosi dell’amiloidosi cardiaca
L’amiloidosi cardiaca è una patologia rara ma sempre più rilevante nel panorama della cardiologia moderna. La sua natura progressiva, i sintomi sfumati e la scarsa conoscenza a livello territoriale contribuiscono ancora oggi a diagnosi tardive e percorsi di cura disomogenei nelle diverse regioni italiane. Secondo gli esperti, “riconoscere l’amiloidosi cardiaca nei primi segnali può cambiare in modo decisivo la qualità di vita dei pazienti”.
In Italia è stato presentato alla Camera dei Deputati un documento strategico, “Amiloidosi cardiaca: verso un modello nazionale di diagnosi precoce, continuità assistenziale e accesso equo alle cure”, frutto della collaborazione tra clinici, società scientifiche e istituzioni. L’obiettivo è definire criteri condivisi, ridurre le differenze regionali e garantire un modello di presa in carico più moderno, equo e uniforme.
La senatrice Elena Morelli ha evidenziato come la malattia resti “sottodiagnosticata per due motivi principali: scarsa conoscenza tra i medici di medicina generale e mancanza di una rete strutturata tra centri specialistici e territorio”. Per migliorare i tempi diagnostici, diventano fondamentali sia la formazione dei professionisti sanitari sia strumenti innovativi come telemedicina e interoperabilità dei dati, utili a rendere più fluidi i collegamenti tra i diversi livelli di cura.
Un altro elemento centrale è la qualità dei dati clinici. Marco Salvatore, Senior Researcher dell’Istituto Superiore di Sanità, ha ricordato l’importanza dei registri nazionali e dell’utilizzo di sistemi di classificazione come gli Human Phenotype Ontology (HPO), che permettono di raccogliere e confrontare informazioni in modo standardizzato. Una migliore governance del dato, spiegano gli esperti, permette di rafforzare la rete dei centri, supportare la ricerca e migliorare concretamente la presa in carico.
Sul fronte clinico, la gestione dell’amiloidosi cardiaca richiede competenze multidisciplinari e una rete ben organizzata. Il professor Francesco Cappelli, tra i principali specialisti italiani, sottolinea come oggi i pazienti arrivino più spesso a una diagnosi precoce, ma con un’età media più elevata. Per questo la valutazione geriatrica risulta fondamentale per distinguere i pazienti fit da quelli fragili, ottimizzando l’impiego dei farmaci disease-modifying, efficaci ma ad alto costo.
Il sospetto clinico gioca un ruolo decisivo. Come spiega il professor Alberto Cipriani dell’Università di Padova, la malattia non è così rara negli over 70 e si riconosce attraverso un insieme di “red flag” clinici: sindrome del tunnel carpale, stenosi lombare, pacemaker precoce, aritmie atriali, segni di disautonomia e scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata. Questi indizi, associati alle tecniche diagnostiche avanzate, permettono di avviare tempestivamente il percorso specialistico.
La cura, però, non si esaurisce nella fase ospedaliera. La professoressa Cristina Chimenti del Policlinico Umberto I ricorda che la presa in carico deve essere olistica, con un ruolo centrale del medico di medicina generale e una rete territoriale capace di sostenere anche gli aspetti psicologici, sociali e familiari. Solo una collaborazione bidirezionale tra centro di riferimento e territorio può garantire continuità e assistenza adeguata.
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La costruzione di un sistema nazionale realmente integrato è la condizione essenziale per garantire diagnosi più rapide, cure innovative e soprattutto qualità di vita migliore per tutti i pazienti. La prevenzione, la formazione e la standardizzazione dei percorsi rappresentano oggi la strada più efficace per gestire questa patologia complessa.
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