Emofilia: quali sono oggi le priorità per garantire cure continue, integrate e realmente centrate sulla persona

Emofilia

L’emofilia richiede percorsi strutturati, reti multidisciplinari e diagnosi sempre più precoci: ecco cosa emerge dal confronto tra istituzioni, clinici e associazioni dei pazienti

L’emofilia, una malattia rara che negli ultimi anni ha beneficiato di importanti innovazioni terapeutiche, continua a porre sfide organizzative e assistenziali decisive. Secondo gli esperti, garantire una presa in carico efficace significa non solo migliorare i trattamenti, ma rafforzare la rete dei servizi, investire nella formazione e costruire percorsi realmente multidisciplinari.

Quando si parla di emofilia, la domanda frequente è: di cosa ha bisogno oggi una persona con emofilia per essere seguita in modo completo? La risposta degli specialisti è chiara: serve una rete territoriale capace di integrare ospedale, specialisti e medicina di prossimità, insieme a un approccio che consideri gli aspetti clinici, psicologici, sociali e lavorativi.

Nel corso dell’appuntamento “APCO Health Talks – Esplorando il Sistema Salute”, tenutosi a Roma, istituzioni e professionisti hanno descritto i punti chiave su cui costruire il futuro dell’assistenza. Il senatore Raoul Russo ha ricordato l’importanza del ruolo politico nel sostenere percorsi dedicati alle malattie rare: “Stiamo esaminando una finanziaria che investe 7 miliardi nella salute, puntando sulla prevenzione e sulla qualificazione del personale sanitario”. Un indirizzo che, se applicato in modo concreto, può rafforzare la gestione delle patologie complesse come l’emofilia.

Anche l’onorevole Gian Antonio Girelli ha evidenziato la necessità di una strategia integrata, capace di unire ospedale, specialistica e medicina di prossimità, con un’attenzione particolare ai bisogni psicologici e socio-economici delle persone. Investire in ricerca, rete territoriale e inclusione permette non solo di migliorare la qualità della vita, ma anche di ridurre i costi futuri legati alle complicanze: “Tutto ciò che non viene fatto oggi ci costa molto di più nel medio periodo”, ha ricordato.

Sul versante della cittadinanza attiva, il consigliere CNEL Francesco Riva ha sottolineato come le nuove terapie consentano oggi alle persone con emofilia di vivere una vita piena: una condizione che impone al sistema di favorire l’inserimento lavorativo e la piena partecipazione sociale, con la giusta attenzione alla fragilità clinica.

Dal punto di vista clinico, la necessità di un modello multidisciplinare è stata ribadita dalla dottoressa Antonietta Ferretti del Policlinico Gemelli. L’emofilia infatti non riguarda solo la carenza di fattore, ma anche l’artropatia emofilica, l’impatto psicologico e le limitazioni nella vita sociale e professionale. Ecco perché il percorso deve includere più figure: ematologo, internista, fisiatra, fisioterapista, ortopedico, cardiologo, infettivologo, odontoiatra. Coordinare gli specialisti “riduce il rischio di complicanze e migliora la qualità della cura”.

L’avanzamento terapeutico ha cambiato radicalmente la storia naturale della malattia, come evidenziato dalla professoressa Cristina Santoro del Policlinico Umberto I. Oggi i bambini possono iniziare terapie efficaci e sicure fin da subito dopo la diagnosi, conducendo una vita pressoché normale. Uno dei nodi ancora aperti riguarda lo screening neonatale, che potrebbe anticipare diagnosi e prevenire complicanze nei casi senza familiarità conosciuta: una richiesta sempre più pressante da parte dei clinici.

Le associazioni pazienti, rappresentate dalla presidente FEDEMO Cristina Cassone, richiamano l’attenzione sul rischio di un indebolimento dei centri di eccellenza italiani. “Chiediamo investimenti in formazione e informazione: senza il ricambio generazionale dei professionisti, i centri rischiano di spegnersi”, ha dichiarato, sottolineando il valore strategico dell’assistenza territoriale e dell’aggiornamento continuo dei giovani medici.

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L’emofilia è una patologia rara ma gestibile: il futuro dell’assistenza dipende dalla capacità del sistema di investire nella prevenzione, nel lavoro di squadra e nella continuità della cura lungo tutto il percorso di vita.

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