Le biotecnologie in sanità: una roadmap per l’Italia
Ricerca italiana: “L’Italia sia il polo di riferimento per le biotecnologie in sanità anche per il suo know how”
L’appello lanciato durante l’evento “Le biotecnologie in sanità: una roadmap per l’Italia” promosso da Altems con il patrocinio di Ministero della Salute e di Farmindustria
“Crediamo che il settore delle biotecnologie soprattutto nel campo della salute possa essere un elemento di grande valore sia evidentemente per i pazienti in relazione a quello che è la capacità di produrre e generare innovazione di valore a favore del benessere e della salute delle persone, ma può essere certamente anche un grande volano per il nostro sistema economico.” Così il professor Americo Cicchetti, Direttore di ALTEMS, Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma ha inaugurato oggi il convegno “Le biotecnologie in sanità: una roadmap per l’Italia”, promosso da Altems, Alta Scuola di Economia e Management, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, con il contributo non condizionato di Argenx e in collaborazione con PPI- Public Policy Innovation, che si è tenuto a Roma presso Palazzo Wedekind, con il Patrocinio del Ministero della Salute e di Farmindustria. “Abbiamo alcuni fondamentali – ha aggiunto il professor Cicchetti – che ci vengono riconosciuti come il know-how. Il nostro giacimento di conoscenze è assolutamente enorme e lo dimostra il nostro quarto posto a livello globale per le pubblicazioni di fronte a giganti come gli Stati Uniti, la Cina e il Regno Unito.”
Il Convegno ha avuto l’obiettivo di mostrare i benefici delle biotecnologie in termini di terapie e di sviluppo per l’intero Sistema Paese, a fronte dei dati impressionanti in questo settore: le imprese che operano nel settore delle biotecnologie applicate alla salute sono infatti 344, la metà delle aziende biotech italiane, una percentuale che arriva al 58% se consideriamo le realtà dedicate esclusivamente alla R&S biotech, le quali impegnano il 75% dei propri costi totali di ricerca in attività di questo tipo. Lo evidenzia il rapporto BioInItaly 2022 di Enea e Assobiotech, che traccia una crescita nel numero di imprese biotech: 790 aziende censite nel 2021. Il fatturato complessivo di queste aziende che operano nel comparto salute continua a crescere incessantemente da anni: fra il 2014 e il 2020 si è registrata infatti una crescita del 158% fra le imprese dedicate alla R&S biotech a capitale italiano. Nel 2021 il fatturato del settore biotech-salute ha toccato quota 7,5 miliardi di euro, rappresentando l’ambito più redditizio di tutto il mercato.
I lavori della giornata si sono articolati in due settori, uno dedicato alle prospettive della politica sul settore, particolarmente rilevanti in vista della nascita del nuovo governo; ed un secondo settore in cui esperti e rappresentanti di alcuni tra i principali attori pubblici e privati del campo delle biotecnologie del Paese hanno dibattuto dello stato dell’arte e delle prospettive delle innovazioni biotecnologiche.
Nella prima parte si sono confrontate Beatrice Lorenzin, Coordinatrice Forum tematico Politica Sanitaria PD; Elisa Pirro del M5S e Annamaria Parente, Responsabile sanità di Italia Viva. Diversi i punti di convergenza nei tre interventi dalla necessità di sostenere con adeguate risorse la ricerca dell’ambito delle biotecnologie sino a quella di considerare questo settore come un campo di interesse e intervento nazionale, sottratto a logiche particolaristiche e campanilistiche. In particolare, su questo punto Beatrice Lorenzin ha chiarito come si abbia bisogno: “di una spinta nazionale, centrale, forte, perché deve essere una priorità dove vengono coordinate le varie politiche”. A sua volta Elisa Pirro ha centrato il focus anche sul ruolo del personale coinvolto nei diversi gangli della filiera delle biotecnologie “un mondo troppo spesso – ha sottolineato – costituito da precari” “Ed è questo – ha aggiunto – forse uno dei più grandi difetti del sistema della ricerca pubblica italiana”. Da ultimo, Annamaria Parente, tra le altre cose ha ricordato come sia anche la filiera industriale del biotech, soprattutto in un momento di crisi come questo, ad aver bisogno “di una politica industriale della salute” perché “la sanità è anche sviluppo e occupazione”.
Nella seconda parte del Convegno, intitolata “Cosa serve per fare dell’Italia il principale polo biotecnologico” sono emersi con nettezza punti di forza e di debolezza del settore delle biotecnologie nel nostro Paese, che sicuramente presenta diverse zone di eccellenza, ma soffre anche di difficoltà legate all’indirizzamento delle risorse e anche alla considerazione dei fondi assegnati a ricerca e a soluzioni applicative del biotech non come investimenti, ma come spese correnti del sistema sanitario senza prendere in considerazione i danni economici evitati al sistema Paese con le menzionate soluzioni. Su questi punti si sono confrontati – moderati da Marco Frittella, direttore RAI Libri – Andrea Grignolio, docente di Storia della Medicina e Bioetica all’Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano e ricercatore CNR, Giorgio Palù, Presidente AIFA, Marcello Cattani, Presidente Farmindustria, Silvia Chiroli, CM Argenx, Annarita Egidi, Componente Consiglio di Presidenza Federchimica Assobiotech, Giovanni Leonardi, Segretario Generale Ministero della Salute, Leonardo Giagnoni, Amministratore Delegato di Italian Angels for Growth, Marco Baccanti, Direttore generale Enea Tech Biomedical, Eva Pesaro, Vice Presidente UNIAMO (Federazione Italiana Malattia Rare), Renato Mantegazza, Direttore Dipartimento Ricerca e Sviluppo Clinico Istituto neurologico Besta, Carlo Ferro, Presidente Agenzia ICE.
In particolare, Andrea Grignolio ha aperto i lavori di questa tavola rotonda ricostruendo i momenti fondamentali dell’evoluzione delle biotecnologie e delle conoscenze relative, evoluzione che è giunta al risultato di poter “trattare malattie autoimmuni, cancro, di riuscire a ricostruire tessuti” con efficacia incredibile. Risultati che per AIFA, ha sottolineato Giorgio Palù, vanno implementati e portati ancora più avanti, a livello Paese con: “una cabina centrale, per individuare le priorità, dove coinvolgere le risorse, altrimenti queste vengono disperse in mille rivoli e a questo punto la regionalizzazione non potrebbe certo far del bene a uno sviluppo del genere che ha bisogno di essere pensato a livello centrale”. Risorse che vanno investite con un orizzonte più ampio, per Marcello Cattani, che oltre alla ricerca tenga conto dei settori complementari come quello industriale e anche quello dell’educazione: “La cultura e l’educazione deve accompagnare – ha dichiarato Cattani – questa grande innovazione affinché sia compresa innanzi tutto e poi valorizzata.” Una innovazione che ha preso corpo nell’intervento di Silvia Chiroli che ha portato l’esempio di Argenx che “nasce nel 2008 in Belgio, sulla base di una scoperta molto innovativa dell’ingegneria degli anticorpi, una ricerca di base. Ma già nella mente di chi l’ha fondata c’era la volontà di portare avanti tre aspetti, su cui si può costruire un percorso anche per l’Italia. Il primo era la volontà di incidere nella società; poi c’era il metodo che Argenx ancora ha, per il quale le persone coinvolte hanno la filosofia di essere studenti sempre, essere sempre nella posizione di ascoltare e imparare, cercando la collaborazione di atenei e università; il terzo elemento è stata la volontà di essere globali, non fermandosi né al mondo belga né al mondo europeo. Tutto questo ha garantito un percorso di successo.”
L’esempio di Argenx fa eco ai successi del settore biotech in Italia, come sottolineati dai dati riportati da Annarita Egidi, che ha ricordato come “i nostri ricercatori siano al terzo posto per numero di premi ottenuti dall’European Research Council” e come per le sperimentazioni cliniche, da un recente rapporto AIFA, sia emerso che nel 2021 l’Italia sia cresciuta dell’1,7% per numero di sperimentazioni presentate e autorizzate. Un contesto nel quale, ovviamente risulta fondamentale il ruolo del decisore pubblico. A tal riguardo Giovanni Leonardi, in rappresentanza del Ministero della Salute, ha ricordato come il Ministero “abbia lavorato sia con il Ministero dello Sviluppo Economico che con quello dell’Università per cercare di avere un indirizzo comune nelle attività” del settore; “tentativi non sempre facili” soprattutto per quel che riguarda i collegamenti tra il pubblico e il privato, ma che comunque mirano alla creazione di un vero e proprio “ecosistema della salute” integrato ed efficiente.
E proprio il ruolo del privato nel finanziamento del settore biotech, in particolare delle prime fasi della nascita di nuove esperienze societarie, è stato al centro dell’intervento di Leonardo Giagnoni che ha sì ricordato i rischi legati alle operazioni finanziarie rivolte ai primi momenti dello sviluppo di nuove soluzioni, ma ha aggiunto che “il rischio fa parte di questo ambito. Rischio che va bilanciato con le opportunità che in Italia vengono da quegli specifici settori dove il Paese è più forte, come appunto il biotech”. Un punto ripreso da Marco Baccanti, che ha illustrato le applicazioni del mandato di sviluppo economico nelle scienze della vita che Enea Tech Biomedical porta avanti e porterà maggiormente avanti in ragione delle disponibilità del Paese delle risorse del PNRR: “toccando tutti i punti critici e di debolezza del sistema”. È ovvio, però, che nessuna prospettiva, né quella di ricerca, né quella finanziaria, né quella industriale, né infine quella dell’intervento pubblico può aver senso senza tener conto dei pazienti cui è destinato il risultato finale della filiera del biotech.
Particolarmente rilevante quindi l’intervento di Eva Pesaro che ha ricordato che: “la materia prima nei confronti di qualsiasi progetto è il paziente. Prima di tutto c’è la vita del paziente malato raro.” Anche considerando che sono “circa 30 milioni i malati rari in Europa. E solo il 5-6% delle malattie rare hanno delle opportunità di cura. Molto spesso cure riabilitative che consentono una vita dignitosa ma non sono per nulla risolutive.” “In questo contesto – ha aggiunto – le biotecnologie e le loro prospettive devono superare tutti quegli ostacoli anche di tipo regolatorio che impediscono che il ritorno degli investimenti giunga fino alle case dei pazienti”. Proprio quei pazienti che necessitano in particolare di “medicina di precisione” come ha tenuto a mettere in chiaro Renato Mantegazza, per il quale non è più accettabile portare avanti “un enorme bla bla” nel settore, del quale “si parla troppo” senza un adeguato impegno concreto in particolare della politica. Da ultimo, Carlo Ferro ha ricordato l’importanza del settore delle scienze della vita per l’export del paese, dato che sommando insieme le esportazioni del “settore farmaceutico e di quello delle biotecnologie, facciamo 47 miliardi a valore del 20/21, 47 miliardi che sono il 9% dell’export italiano.”
Numeri che hanno confermato ancora una volta l’importanza di questo comparto per il nostro Paese e la necessità di rafforzare scambi e sinergie tra gli stakeholder, come avvenuto nella giornata di confronto odierna.