Nuove terapie Alzheimer: l’Italia si prepara alla svolta nella cura della malattia

Nuove terapie Alzheimer

Diagnosi precoce, farmaci anti-amiloide e centri specializzati: cosa cambierà per pazienti e famiglie nei prossimi anni

Le nuove terapie per l’Alzheimer rappresentano una delle più attese rivoluzioni in neurologia. Per la prima volta, esistono farmaci in grado di modificare il decorso della malattia, rallentando la progressione del declino cognitivo. Una prospettiva che cambia radicalmente la gestione clinica e sociale di una patologia che in Italia colpisce oltre 600 mila persone, destinate a raddoppiare nei prossimi decenni.

Ma chi potrà realmente accedere ai nuovi trattamenti? Quanto sono vicini alla piena disponibilità in Italia? E quali cambiamenti richiederanno al sistema sanitario?

A queste domande hanno risposto gli esperti riuniti al 55° Congresso della Società Italiana di Neurologia (SIN), in un corso di aggiornamento realizzato con SINDEM e dedicato alle nuove frontiere diagnostiche e terapeutiche dell’Alzheimer.

Cosa sono le nuove terapie per l’Alzheimer?

Si tratta di farmaci anti-amiloide, cioè anticorpi monoclonali progettati per agire sulle proteine che causano il danno cerebrale.
A differenza delle terapie sintomatiche attualmente in uso, questi farmaci intervengono sul meccanismo biologico della malattia, rallentando la progressione verso la demenza.

Perché sono considerate una svolta?
Perché non si limitano ad alleviare i sintomi, ma modificano l’evoluzione della malattia.

Chi potrà ricevere i nuovi farmaci?

Non tutti i pazienti con Alzheimer potranno accedervi.
Come spiega la dott.ssa Anna Chiara Cagnin (AOU Padova, segretaria SINDEM), solo il 10-20% dei pazienti risulterà idoneo, sulla base di criteri rigorosi:

  • diagnosi precoce (fase di lieve decadimento cognitivo o demenza iniziale)
  • conferma biologica della malattia tramite biomarcatori
  • condizioni cliniche adeguate a tollerare la terapia
  • presenza di un caregiver attivo, fondamentale per la gestione del percorso terapeutico

Questi farmaci, inoltre, potranno essere somministrati solo in centri altamente qualificati in grado di gestire selezione, monitoraggio e possibili complicanze.

Perché la diagnosi precoce diventa essenziale

Come sottolinea il prof. Marco Bozzali (Università di Torino), oggi non basta riconoscere un generico disturbo della memoria.
La diagnosi deve essere biologica, basata su esami che misurano la presenza delle proteine patologiche coinvolte nell’Alzheimer: beta-amiloide e tau.

Gli strumenti attuali includono:

  • analisi del liquido cerebrospinale (puntura lombare)
  • PET amiloide
  • tecniche di imaging avanzato
  • (in futuro) biomarcatori plasmatici tramite esame del sangue

Domanda frequente ➜ “Si può fare uno screening dell’Alzheimer?”
Risposta ➜ No. Gli esami diagnostici vengono prescritti solo dal neurologo, quando c’è un sospetto clinico fondato.

Italia pronta alle nuove terapie? Serve un modello organizzativo

Il prof. Giancarlo Logroscino (Università di Bari) evidenzia un punto chiave: avere il farmaco non basta.
È necessario un sistema sanitario capace di:

  • selezionare i pazienti giusti
  • garantire accesso uniforme tra regioni
  • gestire eventi avversi potenzialmente gravi
  • formare team multidisciplinari (neurologo, radiologo, geriatra, psicologo, caregiver)

Terapia possibile, ma non per tutti: serve consapevolezza

Il dott. Marco Canevelli (Sapienza Università di Roma) ricorda che l’eleggibilità non è solo biologica: contano età, fragilità, terapie in corso, comorbidità e supporto familiare.

Domanda frequente ➜ “Perché non tutti possono fare i nuovi farmaci?”
Risposta ➜ Perché i rischi non sono uguali per tutti e devono essere valutati caso per caso.

Il messaggio finale

L’Alzheimer entra in una nuova fase: farmaci innovativi, diagnosi più precisa, medicina personalizzata.
La scienza ha fatto il suo passo. Ora la sfida è trasformare il potenziale in accesso reale per i pazienti.

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YouTube.com/PianetaSalute

Le nuove terapie per l’Alzheimer non sono una promessa lontana: stanno arrivando, ma richiedono informazione corretta, centri preparati e diagnosi tempestiva.
Parlarne oggi significa aiutare pazienti e famiglie a orientarsi nel futuro della cura.

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